Considero il TIMORASSO uno dei due più importanti vini bianchi piemontesi grazie alle sue caratteristiche di complessità e longevità. In tempi antichi era largamente coltivato nella sua zona d’origine, il Tortonese, ma ,con l’avvento della fillossera i vigneti erano andati quasi tutti distrutti e, dovendo reimpiantare, si era preferito dare spazio a vitigni più produttivi e più facili da coltivare. Era il periodo in cui si privilegiava la quantità rispetto alla qualità. Ma era anche il periodo in cui i consumi di vino pro capite erano molto più alti di oggi.

Parliamo del periodo fra le due guerre e del secondo dopo guerra in cui il vino veniva consegnato in  damigiana, ognuno se lo imbottigliava nella sua cantina, l’acquisto di bottiglie tappate era sporadico ed il consumo pro capite era di 120/130 litri annui. Stiamo parlando di un mondo che non esiste più: oggi il consumo pro capite è precipitato a circa 30 litri annui e si beve saltuariamente più che altro in occasioni con amici ed è così che trova spazio una viticoltura di qualità in cui il TIMORASSO sa far ben valere le sue doti.

La principale è la mineralità che deriva sia dal terreno che dall’uva ma non dobbiamo sottovalutare la struttura, straordinaria per un vino bianco, che si traduce in un corpo molto pieno e persistente. Infine la capacità di invecchiamento che lo porta, dopo alcuni anni, ad assumere note di idrocarburo. Dobbiamo ringraziare Walter Massa che per primo ci ha creduto e, negli anni ’80, ha iniziato a reimpiantare senza spaventarsi per le difficoltà di coltivazione del vitigno e per i conseguenti incerti risultati, se oggi il TIMORASSO è una realtà ben presente sul mercato e con un futuro ancora tutto da tracciare ma che si prevede luminoso.