Il Vino BAROLO era conosciuto fino a qualche tempo fa come “il Re dei  Vini, il Vino dei Re”. Questo appellativo era dovuto ad una serie di circostanze che ne avevano segnato la storia.

Giova ricordare che il BAROLO  fino ai primi decenni dell’800 era vinificato dolce e, considerate le limitate nozioni dei cantinieri dell’epoca, doveva essere ben lontano dalla qualità a cui siamo oggi abituati. Fu la Marchesa Giulia, di origini francesi, a dare un deciso impulso alla qualità, ottenendo la collaborazione di Louis Oudart (pare presentatole dal giovane Camillo Benso grande amico della Marchesa fin da bambino), mercante ed enologo tuttofare (teniamo presente che la scienza enologica all’epoca era ad uno stadio primordiale) che riuscì ad ottenere un salto di qualità portando la fermentazione a compimento e migliorando le condizioni igieniche in cantina.

Fu così che ottenne un vino secco che cominciava a somigliare al BAROLO odierno. Anche il Cavour, che all’epoca amministrava la tenuta di famiglia a Grizane e che allevava il nebbiolo, contribuì a far conoscere questo nuovo vino la cui fama in breve giunse all’orecchio di Carlo Alberto che si lamentò con la Marchesa di sentirne tanto parlare ma di non avere l’occasione di assaggiarlo.

Leggendaria è la teoria di 325 carrà di BAROLO, una per ogni giorno dell’anno, con esclusione (essendo la Marchesa molto pia) dei giorni di quaresima, che ella volle inviare al Re. Carlo Alberto ne fu tanto entusiasta da voler acquistare le tenute di Santa Vittoria D’alba, Pollenzo e del Castello di Verduno dove impiantò i filari di nebbiolo. Fu proprio nel castello di Verduno che il generale Staglieno, incaricato dal Re, riuscì a migliorare ulteriormente la produzione. In seguito il figlio Vittorio Emanuele acquistò la tenuta di Fontanafredda dove a tutt’oggi si trova la villetta della Bela Rosin nominata per l’occasione, oltre che contessa di Mirafiori anche di Fontanafredda.

A questo punto il BAROLO era il vino dei Re, ma non ancora il Re dei vini, essendo conosciuto solo in ambito locale. Purtroppo, con la morte della Marchesa, che era senza eredi, le immense proprietà dei Falletti passarono all’Opera Pia Barolo che le frazionò ed il BAROLO rimase orfano di un tutore che lo potesse trainare.

Bisognerà attendere i primi del ‘900 perché i migliori produttori inizino a  partecipare alle esposizioni internazionali ottenendo i primi riconoscimenti (le medaglie d’oro campeggiano ancora su alcune etichette della Marchesi di Barolo a tutt’oggi della famiglia Abbona) ed il BAROLO acquisisca notorietà in tutta la penisola divenendo anche il RE dei vini.

Ai primi del ‘900 fu delimitata la zona di produzione come oggi la conosciamo. Bisogna però ricordare che fra le due guerre ed anche dopo la zona era poverissima ed il BAROLO stentava a trovare mercato. Il BAROLO era un vino ottenuto con macerazioni lunghissime, anche oltre 30 giorni. Non erano rari i produttori che svinavano a fine anno al fine di ottenere il massimo di estrazione ma ciò gli dava una carica tannica che richiedeva oltre 10 anni di affinamento per renderlo bevibile e rimaneva quindi confinato ad accompagnare pochi piatti nelle grandi occasioni.

Si era arrivati al punto che alla metà degli anni ’80 alcuni produttori davano una cassa di BAROLO in omaggio a chi acquistasse sei casse di dolcetto o barbera. Decisivo a questo proposito fu l’intervento di un personaggio che ne fu l’innovatore negli anni ’70 ed ’80: Renato Ratti.

Grande innovatore, enotecnico di assolute capacità, con esperienza internazionale, creatore della bottiglia Albeisa, dotato di lunga visione, produttore di BAROLO a La Morra, egli aveva compreso che si doveva rendere il BAROLO di più facile beva onde avvicinare un più largo pubblico.

Con macerazioni più brevi si sono ottenuti BAROLI più armonici ed abbinabili ad un più ampio numero di piatti raggiungendo anche quel pubblico internazionale che ne ha decretato il successo odierno. Egli fu anche il primo che, attraverso un’attento studio del territorio, tracciò la prima mappa delle migliori posizioni, ancora oggi di sicuro riferimento dando il via a quella classificazione dei crus che, forse in nessun’altro vino, ha trovato una così spiccata diversificazione.

Parlando di territorio non possiamo dimenticare che di collina in collina le caratteristiche di terroir danno origine a BAROLI  a volte molto differenti fra loro (quantunque vi sia uno studio dell’università  che afferma esattamente il contrario e cioè che queste differenze dipendano solo dalla vinificazione). Parlando in generale i BAROLI prodotti da Monforte a Barolo, passando per Serralunga e Castiglion Falletto, sono più strutturati mentre i BAROLI prodotti da Barolo a Verduno, passando per La Morra , sono più profumati. Pare che queste caratteristiche siano da attribuire alle diverse ere geologiche dei terreni: elveziano il primo e tortoniano il secondo. Queste due conformazioni si raccordano a Barolo sulla collina dei Cannubi che darebbe i migliori e più celebrati BAROLI poiché dovrebbero racchiudere le migliori caratteristiche dei due territori. A La Morra esistono due bottiglie, in collezione privata, portanti in etichetta la semplice scritta CANNUBI 1756.

A quell’epoca il BAROLO era ancora di là Da venire! Personalmente fra i numerosi BAROLI dei Cannubi assaggiati nel corso degli anni ne ricordo uno solo davvero memorabile il primo, tutti gli altri furono grandi delusioni, forse per eccesso di aspettativa da parte mia. Pare però che, nella casistica delle annate, i BAROLI dei Cannubi si distinguano per dare un prodotto di notevole costanza qualitativa risentendo meno delle variabili dell’annata.

Non c’è dubbio che partendo da Monforte in direzione Barolo si incontrino alcuni fra i migliori appezzamenti in assoluto come Bussia Soprana, Lazzarito, Gabutti Parafada, Villero. Ma non vogliamo dimenticare che da Barolo verso La Morra vi sono altri eccellenti crus come Cerequio e Brunate che ottengono le mie preferenze. Purtroppo vi sono anche località, generalmente ai margini della zona, come le porzioni dei comuni di Diano o Novello, in cui i BAROLI sono meno intensi e più magri.

Ma è mia convinzione che in tutta questa girandola di Crus si sia persa l’essenza originaria del BAROLO. I grandi BAROLI del passato erano quasi sempre vinificati miscelando uve di diverse zone: a titolo esemplificativo, miscelando i profumi dei Cannubi con i tannini di Castiglion Falletto, con i diversi profumi di Cerequio e con i tannini più fini delle Brunate si otteneva un risultato eccellente.

Questa era anche l’opinione del decano degli enologi albesi Armando Cordero, già presidente della commissione per le DOCG del BAROLO e del BARBARESCO presso la Camera di Commercio di Cuneo che ho avuto la fortuna di conoscere e le cui lezioni erano di una piacevolezza (oltre che competenza ) senza pari. Egli non perdeva occasione, parlando in pubblico, di ricordare che i migliori risultati si ottenevano proprio con la miscellanea.

Quando frequentai il mio primo corso ONAV nell’88, ci portarono a visitare la cantina di uno dei più storici produttori di BAROLO Giacomo Borgogno, situata proprio nel centro di Barolo. Ci fecero assaggiare un Barolo dell’82 che aveva quindi sei anni. Era imbevibile tanto la tannicità attorcigliava la lingua. Io nella mia ignoranza compresi che necessitava di alcuni anni di affinamento e ne acquistai dodici bottiglie. Ricordo ancora il prezzo di sei mila lire l’una. All’epoca il BAROLO non aveva raggiunto le quotazioni odierne ed anche i comuni mortali potevano permettersene qualche bottiglia. Dopo alcuni anni cominciai a stapparne una bottiglia ma era ancora acerbo: per farla breve dopo il dodicesimo anno raggiunse un buon equilibrio e l’ultima bottiglia la stappammo  al ferragosto del 2.000 (naturalmente con un buon arrosto). Aveva quindi 18 anni ed era grande, maestoso, con un bouquet complesso, ove si distinguevano le note di viola e liquirizia, oltre alla ciliegia sotto spirito. Non posso ricordarne tutte le sfumature ma ho memorizzato la perfetta tipicità che rende il BAROLO unico nel panorama enologico mondiale. Sul palato rifletteva le medesime sensazioni sorretto ancora da buona acidità e giusta tannicità, senza il minimo segnale di cedimento.

Non era neppure una riserva, era una miscellanea! E’ stato l’ultimo grande BAROLO di cui ho potuto godere. Purtroppo oggi di BAROLI come quello si è perso lo stampo. Sono rari i produttori che immettono al consumo BAROLI intensi e quei pochi, a prezzi inavvicinabili. La stragrande maggioranza dei BAROLI oggi reperibili sono di pronta beva e di breve durata. La mia opinione è che i tempi ed il mercato siano maturi per tornare un po’ all’antico, con macerazioni più lunghe e maggiori intensità,almeno per le riserve. Naturalmente i produttori dovranno affinare questi BAROLI in cantina per alcuni anni dato che non sarebbe proponibile oggi immettere al consumo un BAROLO che attorciglia la lingua come capitò a me nell’88. SEGUENDO QUESTA STRADA IL BAROLO RIPRENDEREBBE IL POSTO CHE GLI SPETTA FRA I GRANDI VINI DEL MONDO.